«detto il» mi ha sempre incuriosito sulle pagine di storia dell’arte soprattutto nel periodo Rinascimento/Barocco, Maniera compresa. A parte quelli decisamente generici dettati dalla provenienza (Caravaggio/Michelangelo Merisi, Veronese/Paolo Caliari, Perugino/Pietro Vannucci), le mie preferenze sono sempre andate ad esempio verso l’aspetto fisico, chissà oggi sarebbe bullismo, come per il minuto Parmigianino/Francesco Mazzola o per il pittore piccolo Pinturicchio/Bernardino Betti al contrario della prestanza di Giorgione/Giorgio Zorzi; per il “rosso” dei capelli e delle pelurie ci sono il Fiorentino/Giovan Battista di Jacopo e il Bronzino/Agnolo di Cosimo di Mariano, invece l’olandese Pieter van Laer a Roma lo chiamano il Bamboccio per la forma rotonda del viso, artista post-caravaggesco che faceva “pittura di genere” o secondo altri umoristiche “scene di vita quotidiana” dette appunto “bambocciate” e “bamboccianti” i suoi seguaci; altri dal mestiere dei genitori: neanche a dirlo per Andrea del Sarto/Andrea d'Agnolo di Francesco o per Antonio del Pollaiolo/Antonio Benci, tintore di stoffe per Tintoretto/Iacopo Robusti, accessori d’oreficeria per acconciature per il Ghirlandaio/Domenico Bigordi, falegname per Andrea Mantegna (in teatro il mantegno è un sostegno/cavalletto per annodare le corde); e ancora, per facilità di linguaggio, Giambologna per il fiammingo Jean de Boulogne e Vanvitelli, altro olandese però di madre napoletana, il van Wittel; diminutivi d’infanzia prolungati nel tempo chissà se da Biagio o più certamente Ambrogio per Giotto di Bondone, l’amore per i volatili segna Paolo Uccello/Paolo Doni, la trasandatezza Masaccio/Tommaso Cassai; della Francesca per Piero, orfano di padre, dalla madre maritata de Franceschi; infine, per farla breve, c’è anche il Sodoma/Giovanni Bazzi secondo il contemporaneo Giorgio Vasari per preferenze sessuali altri, ne sono certissimi, per l’incomprensibile parlata piemontese-vercellese (contrazione di “orsù, andiamo!”) lui comunque con quel nome si firmava, si potrebbe dire orgogliosamente, grandissimo amico di Raffaello che lo ritrae accanto a sé ne “la Scuola di Atene” presso le Stanze Vaticane.
Mi è ricapitato fra le mani “La camera chiara” di Barthes, sottotitolo “nota sulla fotografia” che poi è una elaborazione del lutto della madre partendo da una foto che peraltro non è inserita nel libro e mi è tornata alla mente una foto della mia, di madre, e una volta digitalizzata mi accorgo che era incinta (di mio fratello che sarebbe nato qualche mese più in là, l’anno dopo - io non ero ancora in progetto): quindi è il 1953 e aveva 23 anni. La fotografia analogica è un oggetto, si conserva e invecchia, aveva ragione lui, Roland.
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