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Visualizzazione dei post da settembre, 2022

la vita spericolata

La ‘vita spericolata’ di Michelangelo Merisi milanese ma detto Caravaggio dalla provenienza dei suoi genitori, è riportata in innumerevoli biografie mentre alcune testimonianze del periodo lo descrivono ’negro’ di capelli come le folte sopracciglia e gli occhi ‘incaverniti’. In uno dei suoi dipinti c’è perfino un doppio autoritratto come Davide con il suo bel viso da giovane che ha in mano la testa di Golia dal disperato aspetto attuale. Un autorevole critico lo accumuna a Pier Paolo Pasolini sia per l’utilizzo di ‘ragazzi di vita’ nelle sue opere - gli stessi facilmente riconoscibili in più quadri - una vera e propria ‘poetica’ (*) che per la sua tragica fine a Porto Ercole in un contesto molto simile a quello dell’idroscalo di Ostia. Pare gli piacesse molto il vino bianco quello un po’ ‘asprigno’ dei castelli romani il resto si sa osteria omicidio e fuga. Però il ‘confronto’ con Benvenuto Cellini che annovera risse epocali, vari omicidi, condanne per sodomia, fughe di prigione, senz

la velocità (I)

La velocità è quasi sempre un pregio e quella di esecuzione è stata una importante virtù per gran parte degli artisti dal Rinascimento al Barocco Maniera compresa, dopotutto hanno dovuto creare una ’tradizione’ che non esisteva perché si conoscevano solo i nomi degli architetti e degli scultori - e non i pittori - dell’Arte Classica greca e romana, tant’è che già da molto prima ancora - Giotto compreso - si intendevano soprattutto di architettura altri anche di scultura. Caravaggio ad esempio raramente faceva il disegno preliminare andava ‘di getto’ sulla tela che aveva una preparazione addirittura in ‘una fase’ ovvero un’imprimitura colorata di scuro che favoriva le trasparenze e i colori brillanti come il rosso, lavorava sulla sovrapposizione delle figure eseguite una sull’altra prima con una 'terra d’ombra' quindi l’abbozzo a 'tinta piatta' infine la 'stesura finale' e poi, ovviamente, c’era la luce del giorno perlopiù aiutata da quella artificiale tipo torce

il braghettone

Un post 'censurato' ad un amico su Fb mi ha portato a ricordare chissà perché Daniele Ricciarelli detto Daniele da Volterra detto - infine - il Braghettone pittore di grande talento e anche scultore, pure collaboratore di Michelangelo Buonarroti, perfino un noto critico d’arte annota che "ha dedicato la vita a Michelangelo e a intenderne la spiritualità come mistico dialogo con Dio attraverso le forme” ma l’ironia della sorte - è il caso di dire - lo ha portato ad essere quello che ha messo le ‘braghe’ ai corpi ignudi del 'Giudizio Universale' della Cappella Sistina. Daniele da Volterra - Busto di Michelangelo Buonarroti, 1560 (circa)

selfie (III)

E’ impossibile per qualunque tipo di ‘evento’ che non si verifichi una cosa di questo genere, un muro di braccia con il telefono in mano. Nessuno vuole più fare lo ‘spettatore’ - leggo da più parti - bensì il ‘testimone’ che pare sia assumere una posizione più ‘attiva’ e poi l’immagine riprodotta trasferita sui ‘social’ che - dicono - prende il significato di ‘io c’ero’/‘io sono qui’. Nel passaggio del carro funebre ad Edimburgo qualche giorno fa, è andata così, qualcuno ha parlato di rispettoso silenzio altri hanno lamentato l’asssenza di applausi ma le mani sono due e una sembra già impegnata a fare altro.