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Visualizzazione dei post con l'etichetta Maniera

le chat noir

Qui, nella tela del ‘Moretto’, pittore di area bresciana a cavallo tra ‘400 e ‘500, appare ai piedi dell’apostolo di destra - il che giustifica la posizione arretrata della gamba - un gatto dal pelo bianco e rosso ma accanto, qualcuno suggerisce ci sia anche un gatto nero che nasconde il piede del tavolo e con la coda il lembo finale della tovaglia. Bisognerebbe vederlo dal vivo per averne la certezza. Alessandro Bonvicino detto il Moretto - Cena in Emmaus, 1527

found a job

Qualche anno dopo il “Sacco di Roma” il papa Clemente VII della famiglia de' Medici era intento al lungo patteggiare con l’imperatore invasore Carlo V degli Asburgo - uno che diceva di parlare 4 lingue e nell’ordine: lo spagnolo con Dio, il francese con gli uomini, l’italiano con le donne e il tedesco con il cavallo - e la città ancora invasa dai lanzichenecchi (quelli veri) per gli artisti rimasti, disoccupati o ridotti alla fame, si aprì la possibilità di ottenere un lavoro a 'reddito stabile' quello chiamato “frate del piombo” proprio presso la Curia. Un lavoro retribuito molto bene con una rendita annuale che consisteva nel mettere un sigillo, insomma un timbro, per garantire l’autenticità dei documenti papali. Si presentarono come candidati il ventenne Giorgio Vasari pittore ma non ancora architetto e più tardi scrittore, lo scultore trentenne dalla ‘vita spericolata’ (altro che Caravaggio) Benvenuto Cellini scartato immediatamente dal Papa - gli disse, è documentato,

apprendisti pittori

Nelle grandi botteghe come quelle di Andrea del Sarto, maestro di Pontormo, Rosso Fiorentino, Giorgio Vasari e moltissimi altri, lavoravano decine di apprendisti, assistenti e collaboratori dagli otto/dieci anni in su a seconda delle regole delle varie associazioni di pittori e non solo in Italia. Poichè le bambine restavano in casa le poche che riuscivano a dipingere e frequentare botteghe erano figlie di artisti come Artemisia Gentileschi o prima ancora Lavinia Fontana, anche quest’ultima bravissima. Pieter Paul Rubens è arrivato ad avere una trentina e più di lavoranti quando il massimo stabilito ad Anversa era di quattordici persone: uno dei suoi più noti allievi è stato Antoon van Dyck (quello del colore viola ovvero un marrone carico di rosso e una punta di blu) che è arrivato a realizzare opere quasi interamente eppure firmate Rubens. A Wittenberg, Lucas Cranach dirigeva una vera e propria fabbrica con decine e decine di lavori in asciugatura e altre decine in divenire. A Roma i

detto il

«detto il» mi ha sempre incuriosito sulle pagine di storia dell’arte soprattutto nel periodo Rinascimento/Barocco, Maniera compresa. A parte quelli decisamente generici dettati dalla provenienza (Caravaggio/Michelangelo Merisi, Veronese/Paolo Caliari, Perugino/Pietro Vannucci), le mie preferenze sono sempre andate ad esempio verso l’aspetto fisico, chissà oggi sarebbe bullismo, come per il minuto Parmigianino/Francesco Mazzola o per il pittore piccolo Pinturicchio/Bernardino Betti al contrario della prestanza di Giorgione/Giorgio Zorzi; per il “rosso” dei capelli e delle pelurie ci sono il Fiorentino/Giovan Battista di Jacopo e il Bronzino/Agnolo di Cosimo di Mariano, invece l’olandese Pieter van Laer a Roma lo chiamano il Bamboccio per la forma rotonda del viso, artista post-caravaggesco che faceva “pittura di genere” o secondo altri umoristiche “scene di vita quotidiana” dette appunto “bambocciate” e “bamboccianti” i suoi seguaci; altri dal mestiere dei genitori: neanche a dirlo per