“Pontormo o la leggenda di Pontormo?” dice Mario Luzi in un ritratto dell’artista da vecchio che approfondisce gli ultimi due anni di vita del pittore accuratamente annotati in un diario si può dire ‘minimalista’, poche righe al giorno su diete alimentari, problemi di salute e i lenti progressi sul lavoro visto che sono otto anni che lavora in una chiesa ad un ‘Giudizio Universale’, abbattuto nel ‘700, committenti la famiglia dei Medici, opera stupefacente che completò il suo allievo Bronzino.
Arnold Hauser nella consigliatissima “Storia sociale dell’arte” che ai tempi del liceo artistico era da leggersi in parallelo con il libro di testo ‘ufficiale’ ovvero la "Storia dell’Arte Italiana" - nei vari volumi a salire a seconda dell’anno scolastico - di Giulio Carlo Argan (per chi non lo sapesse o ricordasse è stato anche sindaco di Roma) poco si sofferma sui singoli artisti ma a proposito di Pontormo dice che “soffre di gravi depressioni e con gli anni diventa sempre più misantropo e chiuso” e che “fosse disposto a subire un insuccesso dopo l’altro, conducendo una vita incerta, avulsa dall’ordine sociale, ma fedele alla propria idea” al contrario di altri artisti dell’epoca sua che potevano essere addirittura ricchi e famosi, oggi si dice così, come Michelangelo, o vivere altrettanto bene grazie a committenti generosi ma soprattutto stravaganti come il Parmigianino.
All’inizio della faccenda, nel 1511, Andrea del Sarto, allo scopo di conoscere l'arte antica e quella moderna di Raffaello Sanzio e Michelangelo Buonarroti, porta a Roma da Firenze i suoi due allievi sedicenni Jacopo Carrucci detto il Pontormo e Giovanni Battista di Jacopo più semplicemente Rosso Fiorentino, entrambi promettenti e dotati anche di non semplici personalità. E poi nella rivalutazione della ‘Maniera’ avvenuta solo nel ‘900 Federico Zeri li chiama gli ‘eccentrici fiorentini’ mentre Roberto Longhi decano degli storici dell’arte appassiona i suoi studenti all’Università di Bologna tra cui Pier Paolo Pasolini che, ad esempio, nell’episodio “La ricotta” (1962/1963) ricostruisce le due diverse Deposizioni del Cristo morto - sia di Pontormo che di Rosso Fiorentino databili alla seconda decade del ‘500 - ad opera di una goffa compagnia amatoriale sotto gli occhi del regista Orson Welles. E infine, per dirne un’altra, sempre ispirata ad un’opera del Pontormo, la Visitazione (1528/29), c’è The Greeting (1995) di Bill Viola che ne accentua con la sua tecnica la dinamica.
Mi è ricapitato fra le mani “La camera chiara” di Barthes, sottotitolo “nota sulla fotografia” che poi è una elaborazione del lutto della madre partendo da una foto che peraltro non è inserita nel libro e mi è tornata alla mente una foto della mia, di madre, e una volta digitalizzata mi accorgo che era incinta (di mio fratello che sarebbe nato qualche mese più in là, l’anno dopo - io non ero ancora in progetto): quindi è il 1953 e aveva 23 anni. La fotografia analogica è un oggetto, si conserva e invecchia, aveva ragione lui, Roland.
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