“I sacrifici per fare l’artista sono enormi e le ricompense sono spesso piccole e fugaci,” dice un’artista visiva americana “E allora mi chiedo: perché lo facciamo?”. E così in alcune tavole disegnate a mano sul modello di applicazioni come ’Powerpoint’ o ‘Keynote’ per chi usa MacOS e iOS come me, con percentuali e statistiche tratte da interviste e questionari, la risposta che mostra è quella di far parte di una comunità, parlare d’arte, guardare arte, stare in giro con altri artisti. La competizione nasce dopo - dice - quando qualcuno che si conosce, anche lontanamente, fa un passo avanti nel senso di ‘carriera’ e tu fai ‘grrrr’. Pensavo a questo ieri, dopo la prova di uno spettacolo con una compagnia composta interamente da attori giovani molti dei quali devono terminare il ciclo di studi che hanno intrapreso e ho chiesto a Marco Angelilli, che per la qualità del suo lavoro ha un rapporto più stretto con loro, se hanno oltre alla preparazione che vedo anche quella ‘cattiveria’ - intesa nelle sue molteplici sfumature - che invece noto in abbondanza nelle compagnie dove più frequentemente lavoro. La risposta la tengo per me.
Mi è ricapitato fra le mani “La camera chiara” di Barthes, sottotitolo “nota sulla fotografia” che poi è una elaborazione del lutto della madre partendo da una foto che peraltro non è inserita nel libro e mi è tornata alla mente una foto della mia, di madre, e una volta digitalizzata mi accorgo che era incinta (di mio fratello che sarebbe nato qualche mese più in là, l’anno dopo - io non ero ancora in progetto): quindi è il 1953 e aveva 23 anni. La fotografia analogica è un oggetto, si conserva e invecchia, aveva ragione lui, Roland.
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