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la carta da spolvero

Dello stesso autore di ‘Brama di vivere’/‘Lust for life’ biografia di Vincent van Gogh anche questa con versione cinematografica, ho visto recentemente un film del 1965 con budget importante forse non particolarmente riuscito, ‘Il tormento e l’estasi’/‘The agony and the ecstasy’, romanzo di successo negli Stati Uniti, su Michelangelo Buonarroti cui il papa Giulio II commissiona di dipingere la Cappella Sistina, allora un brutto edificio da rimodernare e quindi rilanciare per mancanza di fondi piuttosto che abbattere e ricostruire come consigliava l’architetto Bramante, che descrive la fatica anche per uno come lui obbligato oltretutto alla pittura piuttosto che alle più congeniali scultura e architettura. Tutto questo per arrivare ai tempi del liceo artistico, a Giulio Turcato insegnante di “figura disegnata” cui chiesi perché usavamo questa carta di colore giallino con una certa grammatura e sul lato impiegato per i disegni a matita perfino un po’ ruvida, che acquistavamo in fogli tagliati a mano 50cm x 70cm alla piccola bottega di fronte alla piazza del Ferro di Cavallo su via (di) Ripetta. Il professore, grandissimo pittore “astrattista” ma meglio sarebbe dire “informale”, rispose che la “carta da spolvero” proprio Michelangelo la usava (come si vede appunto anche nel film) per la  preparazione degli affreschi: disegnata la figura le linee venivano bucate con punte in ferro, i fogli applicati sulle volte, poi “spolverati” con il carboncino e infine tolti, i fogli, lasciavano dei tracciati a puntini che con un pennello intinto nella terra di quercia (colore in polvere ad acqua marrone scuro) finalmente uniti a ricomporre il disegno. Turcato si soffermava anche sui lamenti del pittore, già registrati all’epoca, lungo i quaranta metri x i tredici di larghezza: quattro anni passati a dipingere sdraiato su un tavolato a venti metri di altezza.







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Mi è ricapitato fra le mani “La camera chiara” di Barthes, sottotitolo “nota sulla fotografia” che poi è una elaborazione del lutto della madre partendo da una foto che peraltro non è inserita nel libro e mi è tornata alla mente una foto della mia, di madre, e una volta digitalizzata mi accorgo che era incinta (di mio fratello che sarebbe nato qualche mese più in là, l’anno dopo - io non ero ancora in progetto): quindi è il 1953 e aveva 23 anni. La fotografia analogica è un oggetto, si conserva e invecchia, aveva ragione lui, Roland.

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béton brut (II)

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